La canzone “God Bless The USA”, portata al successo dal cantautore Lee Greenwood, ha avuto una traiettoria interessante sin dalla sua uscita nel 1984. Nonostante abbia raggiunto originariamente la settima posizione nella Billboard Hot Country Songs, il suo impatto è andato ben oltre, riemergendo in vari momenti cruciali per la nazione americana. È diventata un simbolo patriottico, suonata sia in eventi ufficiali che in occasione di tragedie nazionali, come l’11 settembre. Questa forza evocativa è stata riconosciuta anche da molte star, da Beyoncé a Dolly Parton, e recentemente reinterpretata in chiave rock da Drew Jacobs.
Negli ultimi anni, la canzone ha acquisito un nuovo ruolo, diventando una colonna sonora ricorrente negli eventi del partito repubblicano e, in particolare, negli incontri dell’ex presidente Donald Trump. “God Bless The USA” è diventata la canzone d’ingresso di Trump, rafforzando ancora di più la sua visibilità e facendola risuonare settimanalmente tra migliaia di sostenitori. Greenwood, il quale detiene i diritti sia come autore che come editore della canzone, ha dichiarato che non ha mai chiesto alcun compenso per l’uso della sua canzone nelle manifestazioni di Trump, motivato da uno spirito patriottico e non economico. Tuttavia, il “Trump bump” ha generato un aumento delle entrate in termini di streaming e download, che si è tradotto in un ritorno economico significativo.
Secondo Billboard, “God Bless The USA” ha registrato una crescita dei suoi numeri di ascolto subito dopo l’esibizione di Greenwood alla Convention Nazionale Repubblicana. Il volume settimanale di stream e download negli Stati Uniti è passato da una media di circa 3.000 unità prima dell’evento a oltre 4.100 nelle settimane successive. Questo aumento non è solo simbolico, ma rappresenta un valore economico concreto: la combinazione dei diritti di master recording e publishing ha portato un incremento da una media di $3.267 a settimana a circa $4.182. Nel solo 2024, le entrate dei diritti di registrazione negli Stati Uniti sono salite a $219.000, un aumento di circa $35.000 rispetto all’anno precedente.
Oltre al successo di Greenwood, altri artisti non hanno beneficiato allo stesso modo dall’associazione con gli eventi di Trump. Ad esempio, i Foo Fighters hanno visto un calo di popolarità per la loro canzone “My Hero”, utilizzata senza autorizzazione in un evento dell’ex presidente. Dopo aver denunciato pubblicamente l’uso della loro canzone, il brano ha registrato una diminuzione di 200.000 stream settimanali e una riduzione delle entrate medie da $10.100 a $9.200 a settimana.
Greenwood non solo è riuscito a mantenere i diritti di autore e di pubblicazione, ma li ha sapientemente amministrati attraverso peermusic, garantendo un flusso di entrate costante e indipendente dagli andamenti del mercato discografico tradizionale. La sua capacità di mantenere un legame emotivo con il pubblico, soprattutto in un periodo di divisioni politiche, rappresenta un esempio emblematico di come la musica possa fungere da simbolo duraturo, trascendendo le generazioni e le barriere politiche.
Il fenomeno del “Trump bump” mette in luce come i rally politici, se associati a canzoni iconiche, possano influire notevolmente sui guadagni degli artisti. L’effetto Trump non è solo una curiosità di mercato ma evidenzia come l’influenza politica possa amplificare la popolarità di una canzone in modi inaspettati, creando opportunità economiche per chi, come Greenwood, riesce a gestire in modo strategico il proprio catalogo musicale.